Il Procuratore regionale per la Liguria ha appellato la sentenza con cui la locale Sezione giurisdizionale, nel giudicare della domanda risarcitoria proposta nei confronti di un dipendente comunale resosi colpevole di reiterate condotte di assenteismo e allontanamento dal posto di lavoro dopo la timbratura, ha condannato il convenuto per il solo danno patrimoniale di euro 61,56, assolvendolo per il danno all’immagine ex art. 55 quinquies, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001, quantificato in citazione in euro 5.000,00, in base all’assunto per cui mancherebbe la prova degli indici oggettivi, soggettivi e sociali, richiamati in citazione, “alla cui stregua predicare, sia pure in chiave presuntiva, il danno reputazionale conseguente alle condotte infedeli”. Ad avviso del Collegio di prime cure la disposizione contenuta nell’articolo 55-quinquies del decreto legislativo 165, laddove prescrive, al comma 2, che “Nei casi di cui al comma 1, il lavoratore, ferme la responsabilità penale e disciplinare e le relative sanzioni, è obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché il danno di immagine di cui all’articolo 55-quater, comma 3-quater, sarebbe stata dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Consulta con sentenza n. 61/2020, per eccesso di delega. Pertanto, il danno reputazionale conseguente a false attestazioni in servizio dei dipendenti pubblici sarebbe stato attratto nell’alveo della disciplina generale del pregiudizio all’immagine della pubblica amministrazione, pur mantenendo la sua connotazione speciale e quindi sganciato dal previo giudicato di condanna. La quantificazione del danno, pertanto non deriverebbe da un automatismo, ma dovrebbe essere quantificata sulla base di indicatori di lesività che l’accusa non ha evidenziato. Il Procuratore regionale, proponendo appello, precisa invece che, nella specie, il danno all’immagine sarebbe sussistente ex se, per espressa previsione normativa non travolta dalla pronuncia n. 61/2020 della Corte costituzionale e che la sentenza gravata confonde i parametri oggettivi, soggettivi e sociali elaborati dalla giurisprudenza ai fini della quantificazione del danno all’immagine con indici individuati ai fini della sua sussistenza. Tali parametri, ravvisati nella specie nella ripetitività degli episodi di assenteismo, nella recidiva del dipendente e nel licenziamento che ne è conseguito, devono invece ritenersi, ad avviso dell’appellante, pienamente idonei ad assolvere l’onere di quantificazione equitativa del pregiudizio all’immagine dell’Amministrazione comunale. Il giudice d’appello, accogliendo il ricorso afferma che l’originaria codificazione in materia di danno erariale all’immagine della P.A. risale all’art. 17, comma 30 ter del d. l. n. 78/2009 – convertito nella legge n. 102/2009, integrato dell’ art. 1, comma 1 sexies, della legge n. 20/1994. Quella disposizione si caratterizzava, per l’intento di circoscrivere l’area di risarcibilità, per la necessaria ricorrenza di un reato contro la pubblica amministrazione, per il previo accertamento con sentenza passata in giudicato, nonché per la tendenziale quantificazione (mediante presunzione legale semplice) del detrimento, anch’esso in funzione limitativa, nel “doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente”. Tuttavia, con specifico riferimento al danno all’immagine da assenteismo, la legge delega n. 15/2009, nell’individuare “principi e criteri in materia di sanzioni disciplinari e responsabilità dei dipendenti pubblici”, ha demandato al Governo di “prevedere, a carico del dipendente responsabile, l’obbligo del risarcimento del danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché del danno all’immagine subìto dall’amministrazione” (art. 7, co. 2, lett. e). In sede di attuazione della delega, il decreto legislativo n. 150/2009 ha introdotto l’art. 55-quinquies nel corpus del T.U. sul pubblico impiego (d. lgs. n. 165/2001), rubricato “false attestazioni o certificazioni”, che al secondo comma dispone che, nei casi di cui al primo comma – laddove è previsto il delitto di false attestazioni o certificazioni per il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che attesti falsamente la propria presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustifica l’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia – “il lavoratore, ferme la responsabilità penale e disciplinare e le relative sanzioni, è obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché il danno all’immagine subito dall’amministrazione.” Il legislatore ha dunque ritenuto, fin dal 2009, di disegnare, con riguardo al detrimento derivante da assenteismo fraudolento di dipendenti pubblici, una disciplina speciale e derogatoria rispetto a quella comune, prevedendo un’autonoma ipotesi di perseguibilità del danno all’immagine della Pubblica amministrazione, testualmente svincolata dal previo accertamento con sentenza passata in giudicato di un reato contro la pubblica amministrazione (art. 55-quinquies, già precedentemente alle modifiche al T.U.P.I. apportate dal decreto legislativo n. 116/2016, entrato in vigore il 13/7/2016, e dal decreto legislativo n. 75/2017). Quest’opzione interpretativa è stata sostenuta dall’univoca giurisprudenza contabile, secondo cui la perseguibilità del danno all’immagine “ai sensi e per gli effetti dell’articolo 55-quinquies, 2° comma, del decreto legislativo n. 165 del 2001, come introdotto dall’articolo 69 del d.lgs. n. 150/2009 … non richiede l’accertamento con sentenza definitiva di determinate specie delittuose”. (Sez. I Appello, sent. n. 391/2018; in termini analoghi, ex multis, Sez. II App., sent. n. 662/2017; Sez.II App., sent. n. 140/2020). Ciò, in quanto l’obbligo del risarcimento del danno all’immagine della P.A. derivante da ipotesi di assenteismo fraudolento si configura come fattispecie speciale, appositamente tipizzata dal legislatore nel richiamato art. 55-quinquies del d.lgs. n.165/2001, norma peraltro successiva rispetto a quella dettata, in linea tendenzialmente generale, in materia di danno all’immagine della P.A., dal richiamato art. 17, comma 30-ter, del D.L. n.78/2009, conv. in L. n.102/2009. link alla sentenza Share on FacebookTweetFollow usSave Navigazione articoli RUP responsabile della mancata riscossione degli oneri concessori (M. Lucca) Corte dei Conti. il comma 557 (legge 311/2004) si applica solo alle PA previste nella norma