L’art. 93 del d. lgs n. 259/2003 come novellato dall’art. 68 comma 2 d. lgs 70/2012 così recita: “1. Le Pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non possono imporre per l’impianto di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge. 1-bis. Il soggetto che presenta l’istanza di autorizzazione per l’installazione di nuove infrastrutture per impianti radioelettrici ai sensi dell’articolo 87 del presente decreto è tenuto al versamento di un contributo alle spese relative al rilascio del parere ambientale da parte dell’organismo competente a effettuare i controlli di cui all’articolo 14 della legge 22 febbraio 2001, n. 36, purché questo sia reso nei termini previsti dal citato articolo 87, comma 4.” Conseguentemente, a decorrere dal 2012 alcune società telefoniche dopo aver stipulato dei contratti di locazione di porzioni di terreno per l’installazione di antenne di telefonia con Enti locali, soprattutto di piccole dimensioni, attratti da offerte di canoni alquanto generose, hanno però poi ritenuto di non dover più corrispondere il canone di locazione perché le clausole negoziali inerenti il canone, a loro parere, sono nulle e in contrasto con l’art. 93 del d. lgs n. 259/2003 come novellato dall’art. 68 comma 2 d. lgs 70/2012. Prima questione venuta alla luce è stata quella relativa alla giurisdizione competente per la decisione sulle controversie in materia sorte dopo l’intervento emendativo del legislatore. Elemento dirimente è apparso quello inerente la natura giuridica del bene concesso in locazione, se appartenente al patrimonio indisponibile o disponibile dell’Ente. A tal proposito le Sez. Unite della Cassazione con sentenza n. 6019 del 2016 hanno statuito che, affinché un bene possa essere ricondotto al patrimonio indisponibile di un Ente territoriale è necessario che sussistano due requisiti, uno di natura oggettiva l’altro di natura soggettiva. Quanto a quest’ultimo è necessario che risulti da un atto amministrativo – preferibilmente da parte dell’organo competente – che un determinato bene sia destinato a pubblico servizio, in secondo luogo, che lo sia effettivamente e praticamente per l’uso concreto che se ne fa. In tali casi il rapporto in virtù del quale la P.A. concede un bene ad un altro soggetto, pubblico o privato che sia, deve essere ascritto alla fattispecie della concessione amministrativa. Ove difetti uno solo dei due requisiti richiesti, il bene deve considerarsi patrimonio disponibile dell’Ente e, ove concesso in uso a terzi, lo schema negoziale che regola tale rapporto è da ricondursi allo schema privatistico della locazione o affitto, in disparte la necessità di adottare, a monte, procedure di evidenza pubblica, per la scelta del contraente. Di qui la competenza del Giudice Ordinario e non del Giudice Amministrativo come, invece, nel caso di controversie inerenti concessioni (ex art. 133 lettera b) del codice processuale amministrativo. Quanto al pagamento di un eventuale canone di affitto, le compagnie telefoniche hanno fatto appello all’art. 93 del Codice delle Telecomunicazioni, per sostenere la nullità per contrarietà a norma imperativa, di eventuali clausole contrattuali che prevedessero canoni periodici, in alternativa al pagamento della Tosap o Cosap e a quelle “ per tenere indenne gli enti proprietari delle spese necessarie alle opere di sistemazione delle aree pubbliche coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione e di ripristinare a regola d’arte le aree stesse”. Tuttavia è da ritenersi che la norma de quo, riferendosi e facendo salva l’applicazione della Tosap o Cosap (ora canone unico patrimoniale) , si riferisca alle fattispecie nelle quali tali tributi siano dovuti: per l’occupazione di beni appartenenti al patrimonio indisponibile o demaniale dell’Ente, non essendo dovute in caso di patrimonio disponibile, nel qual caso, si verte semmai in materia strettamente civilistica. In tal senso si è pronunciata la Corte di Appello di Velletri, con Sentenza n. 4178/2018 e il Tribunale di Torino con sent. 5059/2018, Tribunale di Treviso n. 240/2021. L’installazione poi di infrastrutture per la telefonia non implica di per sé che se ne faccia un uso di pubblica utilità integrando così indirettamente o per via presuntiva la sussistenza dell’elemento oggettivo necessario per la riconduzione di un bene al patrimonio indisponibile. (Cass. Sez. Unite Ord. n. 6019/2016). Sul punto è intervenuta di recente la Corte d’Appello di Venezia Sez. IV n.2488/2022 pubblicata il 23/01/2023 confermando gli esiti del Tribunale ordinario di Treviso pronunciatosi con sentenza n.2122/2021. I giudici di prime e seconde cure, confermano in sostanza, i precedenti orientamenti già citati: le compagnie telefoniche non possono appellarsi all’art 93 del Codice delle comunicazioni elettroniche al fine di sostenere la nullità per contrarietà a norma imperativa delle clausole contrattuali di locazione o affitto di aree di proprietà di enti pubblici negando quindi loro la spettanza dei canoni pattuiti ove si tratti di beni del patrimonio disponibile cui, pertanto, non è applicabile il regime tariffario della Tosap/Cosap (ora Canone unico patrimoniale). Al fine poi di verificare la riconducibilità di ogni bene al patrimonio indisponibile o a quello disponibile dell’Ente anche in assenza di un atto pubblico espresso in tal senso, occorrono alcune precisazioni in merito alla sussistenza del requisito oggettivo e di quello soggettivo. Quanto al primo, in materia di telecomunicazioni, la definizione contenuta nell’art. 3 comma 2 del Dlgs 259/2003 di “attività di interesse generale” non è assimilabile a quella di “interesse pubblico” perché nel primo caso non si tratta di un servizio pubblico ma di un servizio privatistico, reso da privati aventi scopo di lucro, con tariffe di mercato e secondo logiche di mercato, nel secondo caso, per “interesse pubblico” si intende l’interesse di un’intera collettività che costituisce, nel caso di specie, la collettività locale, che viene soddisfatto in una logica, pubblicistica, di carattere generale o particolare (vedasi Ad. Pl. Cons. Stato n. 1/99). Peraltro non rientra i servizi di telecomunicazione non rientrano negli scopi istituzionali dell’Ente, che sono comunque il fine ultimo dell’agere pubblico, sia che esso si estrinsechi in attività che la P.A. territoriale espleta jure imperii sia che agisca jure privatorum. Quanto all’elemento soggettivo, la Corte d’Appello di Venezia, aggiunge la non desumibilità, dalla delibera o determina di approvazione dello schema contrattuale di concessione del bene, della volontà da parte della Pubblica Amministrazione locale di ricondurre un bene al patrimonio indisponibile per pubblica utilità, ritenendo invece necessario “ un atto deliberativo proprio che contenga la manifestazione specifica della volontà dell’Ente di destinare proprio quella porzione di suolo ad un uso pubblico” Non hanno meritato accoglimento le valutazioni delle compagnie telefoniche in ordine all’applicabilità “generale” del divieto di imporre un canone di concessione disposto dall’art. 93 del Codice delle comunicazioni elettroniche, dopo le novelle introdotte dagli art. 12 D.l. n.33 del 2016, l’art. 8 bis del decreto-legge n.135 del 2018 (conv. l.12/2019) oppure dall’art. 1 comma 816 della legge n. 160/2019. A tal proposito rileva come, pur sostituendo Tosap e Cosap con l’introduzione, a partire dal 2021 del Canone Unico Patrimoniale, il presupposto di imposta non sia cambiato in quanto il comma 819 del medesimo articolo della legge di Bilancio per il 2020 e l’art.1 c. 831bis introdotto dall’art. 40 della legge n. 108/2021 hanno confermato l’applicazione del canone a “l’occupazione anche abusiva delle aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile degli enti e degli spazi sovrastanti o sottostanti il suolo pubblico”. Appare evidente, e pare auspicabile che quanto fin qui statuito in via giurisprudenziale, venga confermato anche dal Giudice di legittimità. Sul piano più squisitamente politico appare, a fortiori, opportuno delimitare e perimetrare le esenzioni concesse a società di telecomunicazioni per le cui attività difficilmente pare congruo l’esiguo canone unico patrimoniale che è loro imponibile ove pure si verta in tema di beni indisponibili, tanto più a fronte dell’impatto ambientale che le infrastrutture per le comunicazioni elettroniche ancora oggi sono suscettibili di determinare anche solo in termini paesaggistici. Non si vede, dunque, come i “costi” per la collettività di tali infrastrutture non debbano, di contro, trovare ristoro in entrate pubbliche adeguate che, evidentemente, si traducano in entrate per gli enti locali e, in particolare, per i Comuni sempre più stretti nella morsa dell’esiguità delle risorse disponibili per l’erogazione di beni e servizi ai cittadini. Sonia Lamberti Share on FacebookTweetFollow usSave Navigazione articoli Che cosa afferma il Consiglio di Stato sul rinnovo delle concessioni demaniali Il tentato abuso d’ufficio non comporta la sospensione del Sindaco (G. Vinciguerra)